Dai tempi dei Greci si è cercato di comprendere la relazione tra l’emozione e l’azione, tra le emozioni e la ragione e spesso sono state ritenute come gli aspetti dicotomici della mente.

Platone, nel “Fedro”, le descrive emozioni e ragione come “cavalli selvaggi” che l’intelletto deve domare, come farebbe un auriga.

Per la dottrina cristiana, per molto tempo, le emozioni sono state associate ai peccati e alle tentazioni a cui la ragione doveva porre un limite.

Anche il Buddismo di Shakyamuni vede nell’ascetismo, nella liberazione dai desideri e nell’appiattimento delle emozioni la strada verso l’equilibrio e l’illuminazione umana.

Nell’Ottocento

Avvicinandosi ai giorni nostri, una nuova visione germoglia alla fine del diciannovesimo secolo in seguito alla constatazione che il dualismo cartesiano e l’approccio deterministico erano ormai inadeguati a comprendere il mondo delle complesse interazioni disegnate dalle scienze moderne, e in particolare dalla fisica, così com’è esposto dal premio Nobel per la fisica, nel 1969, Murray Gell-Mann.

La nuova visione e l’approccio olistico prendono piede velocemente, partendo dagli Stati Uniti per poi abbracciare anche l’Europa, con un gioco di contaminazione reciproca che culmina negli anni Ottanta con l’esplosione della “Epistemologia della complessità”, un calderone sincretistico in grado di generare tendenze e metafore culturali che invadono i più disparati campi del sapere.

Nascono nuove modalità di fusione di dottrine diverse come le scienze da un lato e i saperi umanistici dall’altro, dando origine a una nuova federazione di discipline fra le quali le neuroscienze, le scienze cognitive, la linguistica, la psicologia, l’antropologia, l’archeologia cognitiva e la robotica – una collaborazione che mira a una visione sistemica, valorizzando l’importanza dell’aspetto emozionale nell’essere umano.

Se l’Ottocento era caratterizzato dalla scoperta dell’inconscio e del suo ruolo nell’attività mentale e nei processi creativi e onirici, il novecento indubbiamente ha messo in luce l’aspetto determinante del ruolo delle emozioni nei processi decisionali.

Già nel 1890 William James, il padre della psicologia americana, ispirandosi al lavoro di Charles Darwin, “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali” , si occupò di dare una spiegazione alle emozioni. James ha cercato di rispondere alla domanda:

«scappiamo di fronte a un orso perché abbiamo paura, oppure abbiamo paura perché scappiamo?».

Secondo questa teoria la percezione di stimoli esterni è in grado di definire delle modificazioni corporee periferiche, che vengono poi elaborate retroattivamente a livello cognitivo e individuate come emozioni. Per James la relazione stimolo-sentimento emotivo può essere riassunta nella sequenza: stimolo, risposta fisiologica, retroazione cognitiva, emozione. Per cui se all’improvviso avvistiamo un orso dall’area minacciosa diretto verso di noi, rispondiamo con la fuga e abbiamo un immediato tremito, sudorazione e batticuore. La percezione di tutti questi cambiamenti fisiologici viene poi letta ed etichettata come emozione di paura dal seguente processo di elaborazione cognitiva.

Questa teoria coincide con quella proposta nello stesso periodo dal fisiologo danese Carl Lange, il quale proponendo la stessa descrizione, enfatizzò maggiormente l’idea che la risposta fisiologica conseguente alle stimolazioni fosse diversa in relazione al tipo di emozione.

Nel Novecento

Nel 1966 George W. Hohmann intervistò un gruppo di pazienti con gravi danni alla spina dorsale. Ai soggetti venne chiesto di parlare della qualità delle proprie emozioni e della capacità di identificarle, considerando le differenze tra prima e dopo l’incidente. Le persone con la regione sacrale danneggiata riferirono solo minime alterazioni negli stati emotivi, ma quelli con danni cervicali riportavano un netto calo delle sensazioni di paura, rabbia, tristezza e desiderio sessuale. Hohmann conluse che per provare emozioni intense è necessario avere un feedback dal proprio corpo.

In modalità analoga Hennenlotter ha dimostrato che i soggetti sottoposti a una iniezione della tossina botulinica, utilizzata nella chirurgia estetica per attenuare le rughe, nel mimare l’emozione corrispondente di persone arrabbiate e tristi che vedevano in fotografia, tendevano ad avere una minore attivazione del sistema limbico, responsabile della produzione di emozioni. Il Botox riduce la sensibilità del sistema muscolare correlato all’emozione di rabbia, riducendo la sensibilità emozionale del soggetto.

Un altro esperimento interessante è quello di Havas che ha coinvolto un gruppo di 41 donne prima e dopo il trattamento con Botox in un compito di lettura di frasi con forte connotazione emotiva, misurandone i tempi di riconoscimento dell’emozione espressa dalla frase. Le donne dopo l’iniezione di Botox ci mettevano un quarto di secondo in più rispetto a prima nel riconoscere le emozioni di frasi che esprimevano rabbia e tristezza. Questo però non è stato rilevato nella lettura delle emozioni positive come felicità, in quanto in queste emozioni il corrugatore frontale non è coinvolto.

Paula Niedenthal dimostra nel suo studio che le persone a cui veniva chiesto di tenere una matita tra i denti, stimolando i muscoli del volto deputati al sorriso, valutavano più positivamente la visione di un cartone animato rispetto a chi doveva tenere la stessa matita tra le labbra. Tenere la matita con i denti, infatti, stimola l’attivazione dei muscoli facciali del sorriso, mentre tenerla tra le labbra attiva i muscoli facciali della tristezza.

Le neuroscienze e le teorie di economia comportamentale hanno dimostrato come l’emozione sia un elemento che guida la decisione. Come scrive Davidson, noto neuroscienziato pioniere dello studio delle emozioni:

«quando le emozioni positive ci danno energia riusciamo a concentrarci meglio, comprendere le reti di rapporti sociali di un nuovo posto di lavoro o in una scuola, ad ampliare i nostri pensieri e l’attenzione, a mantenere vivo l’interesse per un compito, permettendoci di portarlo a compimento. Le emozioni non sono, per tanto, un elemento di disturbo, ma favoriscono le attività cognitive» (“La vita emotiva del cervello” Davidson e Begley, 2012, p.136).

Un altro neuroscienziato, António Rosa Damásio, nel suo saggio del 1984 “L’Errore di Cartesio” offre una nuova teoria sulle emozioni e ribalta la tradizione culturale, inquadrando le emozioni non più come elementi che offuscano la ragione, ma come elementi di base del buon funzionamento della mente che muove le decisioni. Secondo questa nuova visione la parte razionale del nostro cervello selezionerebbe le informazioni necessarie per una spiegazione logica delle scelte emotive prese, giustificando in modo razionale una decisione presa sulle basi emotive. Questa teoria determina che gli individui non possano più essere considerati «macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano».

Un altro neuroscienziato di grande importanza, Joseph LeDoux , mette in luce, infatti, come l’amigdala possa letteralmente attivare il nostro corpo, determinando una reazione anche a livello delle azioni concrete, mettendo al secondo piano l’elaborazione razionale dello stimolo. Egli individua l’esistenza di due vie di azione che caratterizzano il funzionamento del cervello:

  • una più immediata, istintiva ed inconscia, chiamata via bassa, via inferiore o via talamica
  • l’altra più lenta, analitica e conscia che coinvolge il sistema corticale ed è quindi definita via alta, via superiore o via corticale.

La prima via è quella che si attiva immediatamente e coinvolge le strutture celebrali più profonde del cervello, come il talamo e l’amigdala, quest’ultima responsabile dell’attivazione fisiologica e della produzione degli stati emotivi. La via inferiore rappresenta una sorta di sistema di reazione immediato, adattivo e funzionale alla sopravvivenza sensoriale in cui la dimensione emotiva assume la funzione primaria.

In pratica, nel momento in cui un’informazione giunge nella via inferiore pronta ad attivare la risposta “fight, fly or freeze” di fronte al pericolo, qualche istante dopo l’informazione si indirizzerà verso il percorso corticale per renderci consapevoli di ciò che era accaduto, rielaborando l’esperienza e dandole un senso.

Secondo il modello di Damasio “Feel-Act-Think”, derivante dagli studi neurobiologici, la concezione del cervello emotivo poggia sull’assunto secondo il quale le emozioni sono una risposta dell’organismo a uno o più stimoli sensoriali esterni o interni e hanno dei repertori d’azione specifici tramandati geneticamente o apprese attraverso le esperienze pregresse che si attivano per far fronte a determinati stimoli.

Egli parla di “marcatori somatici”. Il marcatore somatico, quindi, rappresenta a livello soggettivo e non necessariamente in maniera consapevole un’emozione connessa tramite l’apprendimento a esiti futuri previsti di determinati scenari e può comprendere sia un esito negativo, agendo come un segnale di allarme, che un esito positivo, fungendo da segnalatore di incentivi.

Secondo Daniel Kahneman e Amos Tversky, le persone fondano il proprio immaginario del mondo basandosi sulle singole esperienze soggettive di un determinato evento (legge dei piccoli numeri), ragionando spesso secondo gli stereotipi. In molte situazioni, il riconoscimento che orienta i comportamenti e le decisioni non ha a disposizione tempo materiale per una valutazione ponderata. Di fronte a diverse alternative, alcune caratteristiche prototipiche ci indirizzeranno nell’attribuzione del significato.

Secondo una serie di sondaggi, nella costruzione degli stereotipi entra in gioco il processo di comunicazione che determina in maggior parte delle volte la riuscita dell’attivazione delle emozioni necessarie per portare l’individuo all’azione. Si presta inoltre molta importanza al linguaggio utilizzato per riferire un determinato messaggio.

Nel Duemila

In uno studio condotto da Edmund Rolls (2006) è stato dimostrato come la descrizione verbale di un odore contribuisca a creare aspettative e a guidare la sensazione percettiva e quindi le decisioni. In questo studio vengono confrontati gli effetti di due prodotti uguali con delle etichette diverse: su una figura il testo «profumo ricco e delizioso», sull’altra «profumo di verdure». Analizzando con la risonanza magnetica l’effetto sul cervello è stato dimostrato che solo con «profumo ricco e delizioso» si attiva la corteccia orbito-frontale negli individui sottoposti all’inalazione del profumo. Con la seconda descrizione l’attivazione non c’è.

Un altro esperimento interessante è quello condotto sul rapporto qualità-prezzo del vino. Ai consumatori è stato comunicato prima della somministrazione che il costo di uno dei due vini era di 45 dollari e dell’altro 5. Il vino presentato a prezzo più alto venne percepito come più buono rispetto allo stesso vino proposto al prezzo di 5, e a fronte della medesima stimolazione gustativa, la risonanza magnetica evidenziò l’attivazione di due aree del cervello completamente diverse.

  • Nel primo caso, quando si è convinti di assaggiare un vino costoso, si attiva la corteccia orbito-frontale mediale e la corteccia prefrontale ventro-mediale, strettamente connesse alla percezione del piacere.
  • Nel secondo caso, in cui si è convinti di bere un vino economico, queste parti del cervello rimangono passive.

Le aspettative, dunque, provocano effetti sulla percezione modificando profondamente il modo con cui uno stimolo sensoriale viene sperimentato, plasmando addirittura il sapore o l’odore delle cose.

Alla luce di questi studi possiamo concludere che la ricezione di sensazioni percettive genera a livello fisiologico un bio-feedback che a sua volta viene letto e interpretato a seconda delle nostre aspettative o il nostro background genetico ed esperienziale, permettendoci di etichettare, dare un significato, apprendere e memorizzare le informazioni.

È probabile per ora che l’essere umano non possa intervenire e influenzare la prima parte del processo, la ricezione degli stimoli e la manifestazione della risposta fisiologica, ma abbia il libero arbitrio nella seguente attribuzione dei significati e di conseguenza nella risposta emotiva a quella interpretazione.